Gruppo Archeologico Marètamo
Tracce dell'uomo primitivo
Scaglie di ossidiana (tipo eoliano) rinvenute in contrada Balatella prossima al pianoro Le Case, sul versante di levante dell'Isola. Il blocchetto più grande mostra chiaramente, attraverso le sfaccettature, il segno delle ripetute sfaldature eseguite dall'uomo preistorico nell'intento di ricavarne attrezzi o elementi per armi.
Marcatura e localizzazione in contrada Balatella delle schegge di ossidiana ritrovate dal Gruppo Archeologico Maretamo.
Il rinvenimento, da parte del Gruppo Archeologico Marettamo, di frammenti di ossidiana lavorata da mani umane, autorizza a presumere che l’uomo arcaico sia vissuto nell’Isola. Non risultano convincenti le considerazioni di un sedicente ricercatore romano, che sostiene la medesima conclusione basandosi sul ritrovamento di una mascella di cervo sul cordone della impervia volta della "Grotta del tuono" di Marettimo, continuo bersaglio di marosi e di vento di levante. La motivazione del romano si correlerebbe al bisogno dell'uomo primitivo di consumare il pasto dove è solito posarsi il raro uccello delle tempeste.
L’ipotesi dell’uomo preistorico a Marettimo potrebbe essere rafforzata dalla evidenza di alcune strutture megalitiche, ancora visibili oggi sul pianoro e ben leggibili in alcune rare foto scattate nel 1893 da Samuel Butler, l’estroso professore di Oxford che vide in Marettimo l’isola nativa di Ulisse.
Foto scattate da Samuel Butler nel suo viaggio a Marettimo nell'agosto del 1893
Portale con traversa monolitica e massi megalitici alla base (in chiaro) inglobati nel muro di levante di una struttura realizzata in tempi più recenti, presumibilmente adibita a cisterna. La struttura potrebbe essere indirizzata a un “dolmen” per sepoltura familiare o a un santuario religioso.
Vista laterale dell’edificio quadrangolare in località Le Case identificata a-posteriori come fortilizio romano del I secolo a.C. Sono visibili (in chiaro) inseriti nella struttura muraria un portale e blocchi angolari di rinforzo megalitici (?).
È significativa nella seconda foto di Butler la presenza di una corona circolare (in chiaro), composta di pietre legate forse con malta, che rimanderebbe alla base di un "pagghiaro".
I pagghiari, sulla montagna di Marettimo, sono capanne a volta quasi emisferica realizzate con blocchetti di pietra murati a secco, assimilabili nell’aspetto ai "sesi" di Pantelleria.
I pagghiari venivano utilizzati fino alla fine del ‘600 come rifugio dai pochi residenti dell’Isola.
Basi circolari analoghe sono state rinvenute, da Emilio Milana, in un altro sito marettimaro denominato Calvario-Pezza ‘i fave, indirizzabile, sulla base di un’analisi ceramologica, a un presidio militare punico.
Già verso la fine dell’Ottocento il grande Paolo Orsi aveva visto nei sesi di Pantelleria dei monumenti megalitici “tanto affini” ai nuraghi di Sardegna. Non è fuori luogo legare i sesi ai Fenici se teniamo conto che nella costruzione della fenicia Tharros fu utilizzata molta manovalanza dalla vicina comunità nuragica, che probabilmente avrebbe trasferito ai colonizzatori orientali la tecnica muraria locale.
"Pagghiaro" di Marettimo
"Sese" di Pantelleria
Una traccia fenicia
Frammento di skyphos fenicio trovato nel sito Le Case. Le caratteristiche del frammento (ingobbio, colore, fregi ornamentali, lettera “bet”) portano alla ceramica fenicia tinta dell’VIII sec. a.C. caratteristica dell’isola di Mothia. Al presente rappresenta l'unica testimonianza del passaggio fenicio a Marettimo. La foto è stata concessa ad Emilio Milana dalla compianta Fabiola Ardizzone durante gli scavi eseguiti in località Le Case nel periodo 2007-2008. È visibile sul retro del frammento il codice di archiviazioe impiegato dai ricercatori dell' UNIPA: Non è comprensibile l'omissione da parte dei ricercatori palermitani, in tutti i paper pubblicati sugli scavi marettimari, di questo e altri importanti reperti fenici utili nella ricostruzione della storia marettimara. Il periodo da loro studiato va dal Tardo-antico fino al Medioevo centrale, come se quello precedente fosse ininfluente. Non ci si meraviglierebbe se nel dare una sbirciata all'archivio dei frammenti rinvenuti nei due scavi si trovassero reperti appartenenenti a periodi storici precedenti e volutamente non evidenziati. È tipico di certe culture universitarie isolate scrivere solo di quello che si vuole scrivere. Siamo ben lontatni dagli insegnamenti del grande Fernand Braudel, sostenitore della necessità di considerare un asse temporale lungo per dare alla storia attendibilità e credsibilità.
Tre nuovi siti archeologici
Frammenti ceramici rinvenuti nei tre siti lungo la fascia costiera dell'Isola, classificati come Contesto A, Contesto B, Contesto C.
Una prima ricostruzione tipologica e funzionale delle forme originarie della ceramica circolata nei tre siti indirizza a un range temporale esteso tra il periodo punico-ellenistico e quello-tardo imperiale romano.
L'omogeneità ceramologica riscontrata, sia nella fase punica che in quella successiva, confermerebbe quanto già asserito in altre sedi, cioè che i Romani, una volta impostisi sui Cartaginesi, si sostituirono ad essi, ripercorrendo le stesse rotte e gli stessi siti strategici.
Rinviando alla monografia pubblicata da Emilio Milana, si aggiunge che nel Contesto A è ipotizzabile l'esistenza di un "presidio militare" cartaginese sul pianoro del Calvario e nel contesto C di un "faro" sul pizzo di San Francisco 'i Paola. Dai ritrovamenti, anche se sparsi e limitati, sembra emergere una situazione simile a quella dell'isola di Corcyra, che conferisce a Hiera una funzione eminentemente strategica per la sua posizione di transito nel cabotaggio tra il Nord-Africa e la Sicilia.
Contesto A: Pezza 'e fave - Calvario
Visibili dal drone alcune tracce circolari che indirizzano a capanne circolari fatte con la tecnica dei muri a secco usando blocchetti di pietra sgrossati (simili ai "sesi" di Corcyra).
Ubicazione dei tre siti A, B, C.
Contesto B: Pizzo S. Francisco 'i Paola
L'ipotesi di un faro punico sarebbe rafforzata dalla presenza sulla sella sottostante di un anfratto semichiuso da un muricciolo in pietra, facente funzione di garitta, e dalla prossimità del Contesto C, verosimilmente ipotizzabile come base logistica del faro.
Contesto C: Chiano 'i libbicci
La presenza antropica testimoniata dai reperti ceramici ritrovati, punici e romani, conferirebbe al sito il ruolo di base logisticaa del faro.
I due siti, B e C, sono facilmente collegabili per mare e per terra.
La base semaforica: 4 fari sul Canale di Sicilia
Hiera deve la sua singolarità a un destino che la vede fortemente legata alla natura: legata al suo essere ponte tra Africa ed Europa, al suo essere montagna e mare, al suo essere prodiga di risorse, come l’acqua, svolgendo la funzione di "stazione di servizio " nel crocevia di rotte, di culture, di lingue, di religioni, che hanno fatto del Mediterraneo l'orizzonte della storia del mondo antico.
È intuitivo vedere nel sito archeologico di Chiano 'i libbicci una sorta di base logistica legata al Faro 1, che disposta in conspectu Chartaginis risultava vitale per il cabotaggio Cartagine-Hiera-Lilibeo. L'ipotesi parrebbe suffragata dalla presenza, sulla sella sottostante al pizzo, di un piccolo anfratto protetto da un muretto di pietre a secco, che avrebbe assolto, presumibilmente, la funzione di garitta.
L'anfratto sotto il Pizzo S. Francisco di Paola
Su quattro alture della montagna di Marettimo (visibili sulla carta), negli ultimi anni sono stati rinvenuti frammenti ceramici appartenenti al periodo punico-cartaginense prima, e romano dopo, aventi tipologie e caratteristiche d'uso comuni.
La dominanza dei punti di osservazione su ciascun lato del tetraedro montuoso, la praticabilità del sito, la presenza dell'acqua, indirizzano all'ipotesi di un sistema semaforico finalizzato, dal dominatore di turno, al controllo omnidirezionale del Canale di Sicilia.
L'ipotesi del Faro1 si deve all'UNI Palermo, i frammenti di Pizzo S.F. di Paola sono stati rinvenuti da una sedicente guida alpina di Sondrio; i ritrovamenti finali e l'interpretazione conclusiva sono del G. A. Marètamo.
Il calendario solare
Sul pianoro di Marettimo, denominato
Le Case si trovano dei ruderi - datati all’interno di un arco temporale esteso dal periodo ultimo repubblicano romano fino al medievale del XII secolo - correlabili a una basilica protobizantina, a una chiesetta medievale basiliana, alle mura di un fortilizio romano (?); a dei monoliti, grossolanamente sagomati e allineati a Nord.
Il sito è stato oggetto di due campagne di scavi, condotte dal Dipartimento Culture e Società dell’Università di Palermo, le cui conclusioni di massima, circoscritte solo alla fase medievale, vedono, in maniera molto semplicistica e superficiale, i monoliti come piedritti di un muro di recinzione costruito secondo la tecnica dell' "opus africanum," testimonianza di una possibile influenza architettonica di origine nord-africana.
L' "approccio "braudeliano" induce a interpretare i monoliti e il punto di mira come la struttura di un calendario solare, in cui i sei intervalli spaziali, all'interno dei sette monoliti, scandiscono il susseguirsi dei dodici mesi dell'anno, durante l'andata e il ritorno del sole tra le posizioni estreme dei solstizi.
Il "punto di mira ", o traguardo, lo si ritrova in un grosso blocco di pietra, sistemato con cura dall’uomo antico, mentre la verifica degli allineamenti è attuata su una mappa generata mediante aerofotogrammetria con riferimenti a terra intelligenti e un drone, garantendo una precisione di misura di 1 cm.
Dall’ "ortomosaico" si deducono i due più importanti valori angolari: quello di 60° al solstizio d’estate e quello di 119°,5 al solstizio d’inverno, valori allineati con quelli di altri indicatori solari nella Sicilia Occidentale:
da Capo S. Vito a Capo Passero, il punto ortivo solare al 21 giugno ha un angolo con il Nord (azimut) di 60° e al 21 dicembre di 120°.
Con la "spettroscopia Raman", applicata in situ in maniera non invasiva, il G.A. Maretamo ha verificato che i monoliti, la basilica protobizantina e il muro di mezzogiorno del fortilizio sono coevi.
Pittorico assemblaggio degli elementi archeologici, grafici, naturalistici e archeoastronomici appartenenti al pianoro marettimaro Le Case.
L'insieme evidenzia con efficacia visiva la centralità del calendario solare, all'interno di un contesto fisico e religioso sviluppatosi, attraverso le vicende umane, su più livelli culturali e storici.
È lecito pensare che l'insieme nel tempo abbia favorito il consolidamento di un "genius loci" avvertibile con una osservazione attenta e spirituale del sito.
L’evidente sopraelevazione del monolito centrale chiaramente evidenzia un ruolo di polarizzazione, di centralità associato probabilmente alla ricorrenza del capodanno siciliano considerato, nel passato, il 25 marzo. Ma, sul versante religioso, potrebbe sottolineare altre coincidenze: secondo sant’Agostino e san Cipriano, la stessa data corrispondeva alla prima Pasqua cristiana e inglobava anche l’Annunciazione. Con quest’ultima festa si intendeva cristianizzare quel giorno dedicato ai riti di Attis: come questi erano dedicati alla Madre e al Figlio, similmente l’Annunciazione veniva dedicata alla Vergine e al Cristo. L’Annunciazione rappresentava pertanto un evento importante, uno zero separatore: si chiudeva l’era pagana e si apriva quella cristiana.
Un accostamento con Stonhenge
è spontaneo farlo se si considera che questo sito del Sud-Inghilterra, risalente al periodo del Neolitico, finora è stato interpretato dalla ricerca anglo-sassone come un "calendario solare".
Se ne può osservare l'architettura megalitica in uno degli innumerevoli video di You Tube.
Nel 2024 una pubblicazione del Politecnico di Milano ha completamente sovvertito la teoria inglese interpretando lo spettacolare sito di Averbury come un luogo di connessione tra l'uomo preistorico e gli antenati, stabilendo, quindi, un collegamento tra la vita ultraterrena e il solstizio d'inverno.
Per le motivazioni si rimanda alla pubblicazione del Poli Milano.
Il Culto delle acque
È sorprendente come, durante il solstizio d’inverno sullo stesso allineamento di 119,5°, il primo monolito del calendario solare risulti allineato con Capo Boeo (Marsala) e la vicina Grotta della Sibilla, traguardando il sorgere del sole dalla finestrella posizionata sul muro di mezzogiorno del fortilizio.
È molto improbabile associare al caso l'appartenenza di più punti alla stessa retta, il cui valore angolare rispetto al Nord ha un proprio significato archeoastronomico. Secondo l'Archeoastronomia ci si dovrebbe affidare alle intuizioni per svelare il ruolo che il tempo, la storia e gli eventi hanno dato al sito marettimaro e a quello marsalese, entrambi accomunati da un elemento primordiale: l'acqua; il Pianoro con le sue due sorgenti vicine e la Grotta con una fonte prossima al suo altare.
Studiosi ottocenteschi come Mircea Eliade e Raffaele Pettazzoni sostenevano che nella Grotta il culto della Sibilla si fosse sovrapposto a un primitivo culto locale praticato attorno alla fonte d’acqua, presso la quale i Protosiculi praticavano esercizi profetici e religiosi. "La fonte... l'acqua… manifestano potenza, vita... rivelano incessantemente la "forza religiosa "che è loro propria… mostrando una continuità… che si estende talvolta dall’epoca neolitica ai giorni nostri… Nessuna rivoluzione religiosa ha potuto abolire quel culto; alimentato dalla devozione popolare… [è finito] per essere tollerato persino dal cristianesimo (M. Eliade)".
Il pianoro marettimaro con alterne vicende è stato frequentato da monaci propensi a impiantarsi su siti e precedenti strutture religiose quasi sempre vicini a sorgenti d'acqua.
Sotto questa luce si svela il significato finora recondito dell'antico nome, Hiera ("sacra"). Marettimo deve la sua sacralità alle sue sorgenti, all'acqua e alle divinità che ad essa sono state legate, Iside dai Fenici-Punici e Maria Vergine dai Cristiani. Conclusione non inverosimile se consideriamo che già nei tempi remoti il Culto delle acque risultava diffuso in tutto il Mediterraneo.
Alla luce della riscoperta sacralità, si potrebbe pensare di associare alla piccola vasca cilindrica prossima al lato di levante del fortilizio una funzione più convincente di quella di "balneum" data dalla dott.ssa Fabiola Ardizzone dell'UNI-PA in una sua pubblicazione. Con il termine balneum, infatti, i Romani si riferivano ai piccoli impianti termali privati, contrapposti alle grandi terme pubbliche. Le ridotte dimensioni della vasca, poi, e lo stile di vita monacale appaiono incompatibili con il corretto significato dato al termine balneum.
Più coerentemente la vasca potrebbe essere pensata come un "pozzetto di abluzione "(di epoca protobizantina), presupponendo che nella mente dei monaci albergasse l’intenzione di creare non uno strumento di relax, ma uno strumento liturgico, che attraverso il lavaggio rituale con l'acqua pura di fonte esercitasse la purificazione spirituale.
La funzione di pozzetto di abluzione ben si correlerebbe con quella del "fonte battesimale" della basilica protobizantina, interpretabile come simbolo sacrale piuttosto che come strumento sacramentale, essendo a quel tempo la somministrazione del battesimo interdetta ai monaci da disposizioni papali. Il "fonte", quindi, mutuerebbe l'aspetto simbolico-sacrale dall'acqua, che purifica con l'immersione e rigenera con l'emersione.
Un pozzetto di abluzione ?